Garrire al vento: che significa questa espressione? In quali frasi si usa?
Ottobre 21, 2022“Garrire al vento” è un’espressione che ritroviamo in un’opera di D’Annunzio. Lui si riferiva a qualcosa che “sbatteva maestosa al vento”. Leggendo l’intero testo capiamo che sta parlando di una vela, grande e maestosa, che si muove e si agita a causa del vento, e nel contempo emette un rumore definito garrire.
La parola garrire deriva dalla radice “gar”, che significa gridare, gracchiare, o emettere un suono stridulo.
Viene utilizzato per descrivere il suono di molti uccelli, come quello delle rondini o dei pappagalli.
Infine, si usa come sinonimo di sgridare.
Garrire al vento: perché si usa con le bandiere
Quando si dice che una bandiera garrisce al vento, si intende che questa sbatte con forza e rumorosamente a causa del vento.
In questo caso il termine garrire non viene utilizzato con il senso di emettere un suono stridulo (come nel caso del verso di alcuni uccelli), ma con il senso di gridare. La bandiera o la vela, dunque, grida al vento, per dimostrare il suo valore e la sua maestosità. Emette un suono, facendosi sentire da chi è disposto a darle attenzione.
“Garrire al vento” viene utilizzato, quindi, in senso figurato. La bandiera, infatti, emette quel rumore solo a causa del forte vento, e non di sua volontà.
L’espressione è utilizzata per vele, drappi, stendardi, e bandiere.
Garrire: chi fa questo verso?
La radice Gar significa anche emettere un suono gracchiante o stridulo.
Non sono molti gli animali che fanno questo verso. La parola si riferisce a quelle categorie di uccelli come rondini e pappagalli che emettono un suono gracchiante
In questo caso, non si usa l’espressione completa “garrire al vento”, bensì il solo termine garrite. Si dice, appunto, che la rondine garrisce, e che il verso del pappagallo è un garrito.
La vela di D’Annunzio che garriva al vento
D’Annunzio usa questa espressione per riferirsi ad una vela che maestosa sfidava il vento.
Il termine garrire, però, era già stato utilizzato in passato da Petrarca e Dante. In particolare, Dante la uso nella seguente frase: “Pur che mia coscienza non mi garra”.
Insieme a loro, si unì Boccio, con la frase “egli l’aveva garrito” e più avanti, anche Giovanni della Casa con l’espressione: “non rifinano di garrire a fanti loro e di sgridarli”.
Infine, il vocabolo fu utilizzato da Pellico nella frase: “finimmo per potere ogni giorno conversare assai, senza che alcun superiore più avesse quasi mai a garrirci”.