Locuzione latina per sia detto senza offendere: come si traduce? In quale opera si può trovare?
Ottobre 14, 2022“Sia detto senza offendere”, nella sua versione latina “Absit invidia varbo“, viene pronunciato per la prima volta da Tito Livio, intendendo che nelle sue parole non vi era ostilità.
Attraverso questa locuzione latina, si vuole specificare che chi sta parlando, non vuole offendere nessuno con le sue parole. Il suo pensiero, infatti è oggettivo, e non soggetto a fraintendimenti da chi ascolta.
Oggi, la locuzione viene resa in italiano con le espressioni “senza offesa” (linguaggio verbale), “non vi sia offesa nelle mie parole” (linguaggio formale), e “non offenderti per quel che sto dicendo” (linguaggio informale).
Oggi, questa locuzione viene utilizzata in modo completamente diverso, essendosi evoluta anche la concezione di pensiero oggettivo e soggettivo.
“Sia detto senza offendere” nell’opera di Tito Livio
Tito Livio utilizzò questa espressione nella sua opera Ab Urbe Condita.
Si tratta di un’opera composta da 142 libri, riguardanti la fondazione della città, ovvero la fondazione di Roma.
Purtroppo, ad oggi, sono conservati soltanto alcuni di questi libri, dal primo al decimo, e dal ventunesimo al quarantacinquesimo.
Il testo inizia dalle origini della città, e termina con la morte di Druso Maggiore.
L’opera, seppur già corposa, è incompleta, in quanto l’autore è morto mentre la scriveva.
Tito Livio fu uno storico, la cui grande opera fu appunto il Ab Urbe Condita, a cui dedicò praticamente tutta la vita.
Nacque nel 59 a. C., e morì nel 17 d. C.
Pensiero oggettivo e soggettivo
Tito Livio non intendeva offendere nessuno con le sue parole. Il suo parlare della fondazione di Roma era sostenuto da fatti e da ricerche, ed era pertanto un pensiero oggettivo. Non doveva essere soggetto a fraintendimenti, in quanto si trattava di un parere universale.
Oggi, tendiamo ad usare questa espressione anche per pareri soggettivi, ovvero propri dell’individuo che pronuncia date parole. La locuzione prende, quindi, il significato di: “non ti offendere, le mie parole non sono una critica, ma solo un mio pensiero. Puoi accettarlo come non accettarlo”.
Non si tratta più di un pensiero che non è soggetto a fraintendimenti perché creduto vero a livello universale, ma di un ragionamento fatto da un individuo che può essere accettato oppure no. È vero per quell’individuo e per chi, eventualmente, la pensa come lui. È quindi soggetto a fraintendimenti, e chi lo pronuncia, chiede di non fraintendere.
Ecco, quindi, che il “sia detto senza offendere” diventa una richiesta: “per favore non ti offendere per ciò che sto per dire”.